lunedì 10 novembre 2014

Sketches from my sweetheart, Indonesia - 11

     Un'idea per il vostro prossimo    
     matrimonio indonesiano. 
     Chiamate numerosi.

1. La sensazione di essere su "un'isola senza mare", il paradosso che si possa vivere lavorando su una striscia di terra posta sull'equatore senza recarsi in spiaggia per settimane. D'altronde, molti indonesiani che ho conosciuto vedono il mare solo dal balcone di casa o dal finestrino dell'auto percorrendo il litorale senza troppa bramosia di farsi un bagno. L'assidua frequentazione di un ufficio e la routine giornaliera possono avere brutti effetti collaterali, come questo.

2. Jalan Diponegoro, altezza km.5. Attraversare la strada e recarsi a Miga Beach, la spiaggia di fronte l'omonimo esclusivo hotel (l'unico) di Pulau Nias. Gunung Sitoli, la maggiore città tra le due 'kota-kota' dell'isola, ha la sindrome dell'avamposto marino malinconico, affatto balneabile ed in cui si direzionano tutti gli scarichi della popolazione locale. Correndo 30 minuti sulla spiaggia si possono incontrare ogni genere di situazioni strambe. Una ragazzina si avvicina al mare e getta, senza batter ciglio, un enorme sacco di rifiuti sulla riva (nemmeno in acqua, per non bagnarsi i piedi). La nonna guarda ed approva, questa è la prassi. Rifiuti organici, pacchetti di sigarette, polvere e bottiglie in plastica, pannolini, incorniciano i bambini che mi rincorrono gridando «Mister, Mister!». Ora capisco perché questo posto potrebbe essere 'molto bello' ma si limita ad essere solo 'accettabile', 'poco-carino', 'niente-di-speciale'. Dieci metri più in là un ragazzo imita i coetanei nel solito 'Mister, Mister!', ma questa volta vuole vendermi, al contempo, un'aragosta di almeno 50 centimetri. Chissà, in un ristorante europeo, quanto potrebbe costare questo mostro. Un tizio con la faccia d'angelo brandente un machete saltella verso di me: gli indonesiani finora incontrati sono stati pacifici e innocui al 99%, ma meglio non fidarsi troppo e restare a tre metri da lui. La nonna di cui sopra mi saluta ridacchiando mentre la sua famiglia mi osserva mentre salto la corda (un metro scarso) che trattiene la loro barca pronta a salpare; ora anche i suoi nipoti ridacchiano dirigendosi verso l'orizzonte ove i pescatori si danno da fare sotto un cielo plumbeo ma non ancora pronto a piovere. Sulla spiaggia evito ulteriori rifiuti (di un'altra famiglia), un rigagnolo di acqua nera che proviene da una baracca e una cacca, spero di cane. Penso sia un gran peccato che questo fazzoletto di sabbia posto di fronte l'oceano sia poco meno che una discarica posta sull'equatore. Si alza la marea, il tramonto è vicino, i pescatori si danno da fare ed io, sudato, stanco, seduto sulla sella del motorino prendo la via del ritorno.

3. Mi risale la febbre. Spero, tra me e me, che non si tratti nuovamente di tifo. Dalla noia preparo una grande lista della spesa che farò nei prossimi giorni quando mi sentirò meglio: pane, acido per piastrelle, marmellata non troppo dolce, detersivo per pavimenti che non odori troppo di limone chimico. Follia pura. Ingoio la mia tachipirina 650g (formato esistente con tutta probabilità solo in Indonesia), provo a guardare il film più stupido e superficiale che sia mai stato prodotto per rilassarmi e mi lamento noiosamente come un bimbetto che non vuole andare a scuola il lunedì mattina. Per svagarmi, infine, guardo fuori dalla finestra. Il cane ed il gatto di casa lottano per due ossa cadute sotto il tavolo della grande cucina. La cagnetta ha le mammele che strisciano a terra, è alla sesta cucciolata. Il gatto ruba gli avanzi, entra in casa e rovista tra i piatti sporchi in cerca della sua cena. Una scena metà kafkiana e metà bukowskiana, con un pizzico di Dickens, una sorta di lotta per la sopravvivenza che continua ogni giorno, silente, sull'isola di Nias. Tifo compreso.

4. Buche piene d'acqua ed intere carreggiate sprofondate di tre metri si stagliano all'improvviso dopo tratti di strada perfetti in cui si tira per bene la quarta marcia. L'incontro può essere assai pericoloso. È la carreggiata che da Gunung Sitoli si percorre in moto verso Sirombu, a sud dell'isola di Nias, per il week-end 'rotolando verso sud'. Tanto affascinante, immersa nel verde, la strada attraversa piccoli villaggi in cui le tombe dei famigliari, poste nel giardino di casa, diventano dei supporti ove fare asciugare la biancheria, i tappeti e le coperte. Mi prendo anche il tempo per una caduta/scivolata a 5 km/h su di un ponte di legno con attraversamenti paralleli viscidi pensati per delle auto. Risultato, un misero taglietto sul dito anulare sinistro. Se all'andata siamo risparmiati dalla pioggia, il ritorno sarà in pieno stile 'torrenziale equatoriale' con tanto di soste obbligate sotto i porticati di chiese e case private per scampare dalle secchiate d'acqua dal cielo. La faccia della proprietaria di casa che apre la porta e si trova due «bule», white men, fradici ed in attesa che finisca l'uggiosità è davvero impagabile.

5. Sdraiato su un prato sotto un palmeto, con l'oceano che romba nelle orecchie in una tranquilla domenica mattina. La mutevolissima gittata d'acqua sulla spiaggia nel giro di poche ore fa passare il bagnasciuga da tre a dieci metri di lunghezza. Bambini si esibiscono in capriole nella sabbia, fanno mostra di piccoli pescetti catturati in un bicchiere, corse sulla spiaggia, buche scavate per sotterrarsi i piedi e non poterli muovere, bolle di sapone, palloncini gonfiati e sgonfiati per farli 'scorreggiare' in aria, grande tirata di barba a chi la porta ancora, vagamente per vezzo, 'alla cubana'...giochi classici ma intramontabili per gli amichetti di Sirombu. Dopo aver gironzolato incontro un gruppo di calciatori. La sfida è ovvia. Finisce, dopo due ore, più o meno in un pareggio al nuovo grido di battaglia proposto dai locali: «kope-kope». Potete immaginare il significato osè dello slogan.

6. Dopo aver creduto di fare una semplice cortesia, mi ritrovo a fare una scampagnata notturna in moto per Sirombu. Nebbia, buche da evitare, buio pesto ed un angolo di cielo con stelle vivissime. Tre orologi fermi ad ore diverse, un albero di Natale spennacchiato ed una via crucis stampata male su fogli A4. Rischiarati da una lampada a gas appesa ad un gancio che scende dal soffitto, stile miniera di carbone, mi sorbisco canti ripetuti all'infinito accompagnati da una chitarra scordata che rimbomba in un casermone di cemento senza campanile, ancora in costruzione. Che strano sabato sera.